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I principi giuridici fondamentali.


Molti sostengono che diversamente da quanto accade in altri ambiti del diritto le decisioni che vengono prese nell'ambito del diritto di famiglia hanno un livello di discrezionalità molto elevato e talvolta viene contestata la certezza del diritto: di fronte a fatti simili la decisione giuridica può essere molto diversa a seconda di fattori soggettivi.

Questo è un limite del diritto di famiglia ma è anche una grande risorsa: dipende dal fatto che le decisioni giuridiche devono essere prese con grande attenzione alla complessità della situazione che può coinvolge persone e legami fragili e intimi e davvero complicati. Le decisioni non si possono basare esclusivamente sui fatti, ma devono portare grandissima attenzione alle conseguenze concrete.

Per questo la procedura in questo ambito del diritto da grande spazio alle soluzioni conciliative, alla negoziazione e alla mediazione e cerca di evitare che le questioni si risolvano solo nelle aule di tribunale.


Restano però saldi alcuni semplici principi giurisprudenziali che ispirano e orientano tutte le decisioni nell'ambito del diritto di famiglia. Ne daremo dettagliata spiegazione nelle INFORMAZIONI dedicate ma vediamone qui rapidamente i principali.


1. Il superiore interesse del minore.

In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente. [...]

Il principio di superiore interesse del minore stabilito dall'art. 3 della Convenzione Onu sui Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza riconosce al minore diritti propri. Gli interessi del minore, afferma l'articolo, hanno carattere di preminenza rispetto agli altri interessi in causa.

La domanda centrale non è quali siano gli interessi dei genitori nella situazione, che cosa loro desiderano nella riorganizzazione della famiglia. Questi interessi sono presenti ma sono secondari rispetto all'interesse del bambino o dell'adolescente.

Che cosa è nell'interesse dei nostri figli? Qual è per loro la migliore organizzazione della famiglia, nei limiti delle possibilità dei genitori e della famiglia stessa?

Questa è la domanda fondamentale che giuridicamente e non solo guida il processo di ridefinizione dell'organizzazione familiare.

2. Il diritto del minore a vivere ed essere educato nella sua famiglia

Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia.

Il diritto del minore alla famiglia è sancito dall'articolo 1 della legge 184 del 1983 e poi ripreso nel testo di legge 149 del 2001.

Tale articolo riconosce ai figli che la loro famiglia è l'unico ambiente di crescita adeguato, perlomeno fino alla maggiore età. Questo non vuole dire che non ci possano essere dei momenti di allontanamento dalla famiglia, legati per esempio a interessi particolari di quel figlio, motivi di istruzione o altro. Rende evidente però, anche giuridicamente che nel momento della separazione si chiude la relazione di coppia tra i genitori ma la famiglia deve restare salda e deve continuare ad essere il luogo di vita e di crescita dei figli, all'interno della quale entrambi i genitori contribuiscono attivamente alla loro educazione.

Sarà la sua organizzazione a cambiare: ci saranno due case, tempi e abitudini diverse, ma la sua funzione giuridica e affettiva di luogo di sviluppo e di educazione resta invariata.


3. Il diritto del figlio alla bigenitorialità.

Entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l'educazione del fanciullo e il provvedere al suo sviluppo. La responsabilità di allevare il fanciullo e di provvedere al suo sviluppo incombe innanzitutto ai genitori oppure, se del caso, ai suoi tutori legali i quali devono essere guidati principalmente dall'interesse preminente del fanciullo. [...]

Secondo il principio di bigenitorialità un bambino o un adolescente ha diritto a mantenere un rapporto stabile ed equilibrato con entrambi i genitori, anche se gli stessi siano separati o divorziati.

Non devono esistere impedimenti che giustifichino l’allontanamento di un genitore da suo figlio. E' responsabilità di entrambi i genitori garantire al figlio questo diritto. Questo significa che ciascun genitore non deve solo preoccuparsi di mantenere lui stesso un buon rapporto con suo figlio, deve anche preoccuparsi che il rapporto con l'altro genitore sia saldo ed equilibrato mettendo in atto ogni azione sia nelle sue possibilità per favorire la relazione con l'altro genitore, a prescindere dalla considerazione personale che può avere dell'altro genitore.

Il principio di bigenitorialità , in presenza di separazione e di divorzio dei coniugi, si trasforma nel dovere giuridico di preferire sempre l’affidamento condiviso della prole anziché quello esclusivo ad eccezione di situazioni che rendano evidente l'irresponsabilità e la pericolosità di uno dei due genitori.

Affidamento condiviso, non significa collocamento paritario: l'affidamento condiviso riguarda la necessità che ogni decisione rilevante presa a favore di un figlio venga presa insieme all'altro l'altro genitore che ne è parimenti responsabile. Il collocamento, paritario o prevalente, presso le case dei genitori è una di queste decisioni.


Questi sono alcuni principi fondamentali, qui solo accennati per motivi di brevità, ne troverete altri più avanti nelle altre INFORMAZIONI, come il diritto del minore ad essere ascoltato, il diritto dei nonni a mantenere rapporti con i nipoti, eccetera.

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